lunedì 4 febbraio 2013

LA SORTE DEGLI EBREI EUROPEI FRA MUSSOLINI E HITLER - Lettere al Corriere della Sera

LA SORTE DEGLI EBREI EUROPEI FRA MUSSOLINI E HITLER - Lettere al Corriere della Sera

Durante una visita al quartiere ebraico di Praga un amico americano mi ha detto che gli italiani, durante il secondo conflitto mondiale, furono tra i popoli più attivi nel proteggere gli ebrei dalle persecuzioni razziali e dalla deportazione. E questo sia in patria che all’ estero. Vorrei sapere se questa affermazione corrisponde al vero.

Marco Corsi ,
LA SORTE DEGLI EBREI EUROPEI FRA MUSSOLINI E HITLER
Caro Corsi,
esiste effettivamente un interessante problema storico: perché l’Italia, dove erano state adottate leggi pesantemente discriminatorie, trattò gli ebrei, nelle zone occupate dalle sue forze armate, in modo alquanto diverso da quello delle autorità tedesche? Su queste vicende esistono ormai studi e memorie autobiografiche. Sappiamo che molti ebrei polacchi, dopo la sconfitta della Polonia nel 1939, furono salvati grazie a visti concessi, spesso con l’autorizzazione di Galeazzo Ciano, da due diplomatici italiani, Mario Di Stefano e Giovanni Vincenzo Soro (la vicenda è stata raccontata da Sergio Minerbi nella rivista Nuova Storia contemporanea del maggio 2008). Sappiamo che fra il 1942 e il 1943 il console generale a Salonicco Guelfo Zamboni riuscì a salvare, con l’autorizzazione del ministero degli Esteri, molti ebrei della città, non soltanto italiani. E sappiamo che questa fu la linea generalmente adottata dalle autorità militari nelle zone soggette alla loro responsabilità: proteggere gli ebrei che avevano un passaporto italiano e impedire che la lunga mano delle autorità tedesche s’impadronisse di ebrei d’altra nazionalità residenti nella stessa circoscrizione.

La ragione di questo atteggiamento è bene spiegata in un libro di Daniel Carpi, storico israeliano di origine italiana, pubblicato dalla Brandeis University press nel 1994: Between Mussolini and Hitler. The Jews and the Italian Authorities in France and Tunisia (Fra Mussolini e Hitler, gli ebrei e le autorità italiane in Francia e in Tunisia). L’invasione della Polonia nel 1939 sorprese e irritò Mussolini. Sapeva che l’Italia era impreparata al conflitto e credeva di avere concordato con Hitler l’apertura delle ostilità agli inizi degli anni Quaranta, quando il piano per la riorganizzazione delle forze armate italiane sarebbe stato completato. Decise l’ingresso in guerra nove mesi dopo, nel giugno del 1940, quando temette che non avrebbe avuto un posto di comprimario al tavolo della pace. Ma annunciò a tutti i maggiori collaboratori che l’Italia avrebbe fatto la «sua» guerra «non per la Germania, non con la Germania, ma a fianco della Germania». Il fallimento della campagna di Grecia lo costrinse a chiedere l’aiuto di Hitler e dimostrò quanto quella strategia fosse illusoria. Ma il principio fu riaffermato ogniqualvolta i tedeschi cercarono d’imporre alle autorità italiane i criteri con cui avrebbero dovuto amministrare le loro zone d’occupazione nella Francia meridionale, in Tunisia e nei Balcani. Nel caso degli ebrei tunisini con passaporto italiano, in particolare, l’Italia aveva uno specifico interesse. Voleva salvaguardare la propria comunità per meglio giustificare le sue mire sul Paese e sapeva che gli ebrei ne rappresentavano la componente più qualificata e influente.

Non tutto in questa vicenda fu calcolo politico. Quando divenne evidente per tutti quale sarebbe stata la sorte degli ebrei catturati dai tedeschi, le autorità italiana rifiutarono il ruolo del complice. So che l’espressione «italiani brava gente» contiene un alto tasso di retorica e non va più di moda. Ma in questo caso può essere ancora legittimamente utilizzata.