giovedì 29 settembre 2011

L'universo è una rete stesa sul vuoto

L'universo è una rete stesa sul vuoto - Rainews24.it
Non bastavano i neutrini più veloci della luce a gettare ombre metafisiche sull'universo: ora ci si mettono anche gli astronomi della Australian National University, che hanno scoperto una "rete" che collega i grandi corpi astrali tra di loro.

UCRAINA DEGLI ANNI TRENTA LA MORTE PER FAME - Lettere al Corriere della Sera

UCRAINA DEGLI ANNI TRENTA LA MORTE PER FAME - Lettere al Corriere della Sera
Sono rimasto colpito nel leggere i dettagli relativi all’holodomor, il genocidio o olocausto ucraino degli anni trenta. La requisizione delle scorte alimentari e la carestia volutamente indotta dal governo di Stalin determinò, specialmente tra il 1932 e il 1933, da sette a dieci milioni di vittime. Se la cifra fosse vera, si tratterebbe di un numero addirittura superiore all’Olocausto ebraico di Hitler. Che sapeva allora il mondo della tragedia che stava accadendo in Ucraina? Perché, crollato il comunismo e a distanza di tanto tempo, l’opinione pubblica ancora fatica a prendere coscienza di quelle che furono le tragedie perpetrate dal regime sovietico? Forse che il determinante contributo alla sconfitta del nazismo abbia conferito una permanente patente di legittimità all'oblio dei crimini precedenti?
Francesco Valsecchi

 UCRAINA DEGLI ANNI TRENTA LA MORTE PER FAME Genocidio, se vogliamo che le parole continuino ad avere un significato, non può definire ciò che accadde in Ucraina e nel Caucaso del nord fra il 1930 e il 1933. Dopo avere sottratto gran parte della produzione agli agricoltori con la politica dell’ammasso, il regime sovietico decise la collettivizzazione della terra e l’aggregazione forzata delle fattorie agricole che lo stesso Lenin, paradossalmente, aveva reso possibili con il decreto sulla terra ai contadini, emanato dopo la rivoluzione bolscevica. I contadini proprietari resistessero, il regime reagì con le spedizioni punitive, gli arresti, le deportazioni. Stalin sapeva che gli ucraini, in quelle condizioni, erano condannati a morire di fame (è questo il significato della parola «holodomor»); ma non vi fu una deliberata politica di massacri, camere a gas, annientamento di interi villaggi e centri urbani come nel caso della spietata lotta di Hitler contro l’ebraismo europeo. Il numero delle vittime fu straordinariamente elevato, anche se difficilmente calcolabile, ma le cause della morte furono soprattutto la carestia, l’inedia, il tifo, il carcere duro, il trasferimento coatto delle popolazioni in condizioni inumane, gli errori di una burocrazia arrogante e incompetente. La cifra di 10 milioni risale probabilmente a una conversazione fra Churchill e Stalin dell’agosto del 1942, raccontata dall’uomo di Stato britannico nelle sue memorie. Per indurre il leader sovietico a parlare di quegli avvenimenti, Churchill mise a confronto le difficoltà provocate dalla guerra che l’Urss stava combattendo contro la Germania, con quelle provocate dalla creazione delle fattorie collettive dieci anni prima. «Oh no, esclamò Stalin, la collettivizzazione ci impose una lotta ben più terribile». Churchill commentò allora osservando: «Penso che vi sia riuscita così dura per il fatto che non avevate a che fare con poche migliaia di aristocratici o di grandi latifondisti, ma con milioni di umili contadini». Stalin non esitò a rispondere: «Dieci milioni. Fu una lotta terribile che durò ben quattro anni». La notizia di ciò che stava accadendo nella Repubblica dei Soviet giunse in Europa occidentale attraverso numerosi canali. Ma uno dei governi più dettagliatamente informati fu, probabilmente, quello italiano. Vent’anni fa lo storico Andrea Graziosi, uno dei migliori studiosi della storia sovietica, ha pubblicato presso l’editore Einaudi un libro intitolato «Lettere da Kharkov» in cui sono riprodotti i testi dei rapporti diplomatici e consolari inviati a Roma dall’ambasciatore a Mosca Vittorio Cerruti, dal console a Kharkov Sergio Gradenigo e dal vice-console a Novorossijsk Leone Sircana. Letti oggi, dopo altre rivelazioni su quella vicenda, i rapporti dei funzionari italiani sono modelli d’informazione precisa, completa e documentata. Graziosi racconta che Mussolini leggeva i rapporti attentamente annotandoli e siglandoli. E quando apprendeva l’arresto di un comunista italiano, emigrato in Urss per «costruire il socialismo», non resisteva alla tentazione di commentare: «Ve l’avevo detto io».

mercoledì 28 settembre 2011

Un sardo in Toscana (Repubblica, 6 agosto 1989)

SIENA - Domani mattina io, cittadino del Sardistan emigrato in Toscana, forse avrò un lavoro. Forse potrò fare il raccoglitore di pomodori a Marsiliana. Lo scorso anno davano mille lire a cassetta. Quest' anno saranno 1200, mi dice, nel bar di Manciano, un uomo sui cinquant' anni, sorridente e rubicondo. Mio figlio, continua, squadrandomi come volesse calcolare a occhio peso e altezza, lo scorso anno è arrivato a fare 110 cassette in un giorno, centodiecimila lire. Tu vedrai che 70/80 riuscirai a riempirle. Mi dà appuntamento per stasera, verso le 20, in questo stesso bar dove ora beviamo un bicchiere di miscelato, vino rosso e spuma: telefonerà a un certo suo amico di Marsiliana, gli dirà che c' è un bravo ragazzo disposto a raccogliere pomodori a cottimo. Il bravo ragazzo sono io, emigrato sardo senza arte né parte, capitato per una serie di accidenti immaginari in questo paesino della Maremma, proprio il giorno dopo l' arresto per sequestro di persona a scopo di estorsione del mio corregionale Pintore Costantino da Ortueri (Nuoro), 36 anni e 800 pecore.Il benefattore maremmano Dante Belardinelli, re del caffè e imprenditore fiorentino, era in queste campagne, incatenato dentro una tenda canadese, a trecento metri dall' ovile di Pintore. Stasera mancherò l' appuntamento col mio benefattore maremmano, e andrò proprio in quell' ovile. Incontrerò il fratello dell' arrestato, pastore pure lui, partito in fretta e furia dalla Sardegna perchè qualcuno deve pur badare al bestiame.

Sono arrivato a Manciano venerdì 4 agosto. Il giorno prima ero in un bar di Firenze mentre la televisione trasmetteva le prime immagini di Belardinelli. Me ne stavo in un angolo del bancone. Mi sentivo osservato con indulgente compatimento. Poco prima, chiedendo una birretta mi ero rivelato per un sardo senza arte né parte, nativo di Orgosolo, privo di amici e di raccomandazioni. Un sardo del Sardistan, come un anonimo razzista scrisse dieci anni fa, su un muro di Siena, in un altro periodo di sequestri d' esportazione. Un giornalista del Sardistan travestito da disperato del Sardistan, alla ricerca di quei germi di razzismo di cui di tanto in tanto parlano i miei corregionali residenti in Toscana. Da Otello, trattoria nei pressi della stazione, ho ordinato un piatto di spaghetti dopo essermi informato sul prezzo, e ho avuto il primo contatto per un lavoro: fossi stato più fortunato, anziché il raccoglitore di pomodori a cottimo, avrei potuto sperare di fare lo stagionale in Versilia.

E' stato il cameriere a darmi la dritta quando ha sentito la mia storia penosa: la chiusura del cantiere dove facevo il manovale, la crisi dell' edilizia in Sardegna, la partenza alla cieca. Col conto m' ha dato un numero di telefono di, pensa un po', Mondo fantastico, Forte dei Marmi. Ma non è che gli ho chiesto dopo questa storia del sequestro quando sanno che sono sardo non mi prendono?. Stai tranquillo, non avrai problemi m' ha rassicurato là gli stranieri come te li assumono subito. Prendono gli stranieri anche per la raccolta dei pomodori a Marsiliano. Anzi, li prendevano, mi spiega, sorseggiando il suo cocktail, il mio benefattore maremmano: Venivano i tunisini. Poi si è visto che erano degli scansafatiche, e nessuno li ha voluti più. Provo, e subito reprimo, un certo orgoglioso turbamento. M'accorgo che, probabilmente, se davvero fossi un sardo senza arte né parte, da questo momento in poi si radicherebbe in me un combinato disposto di certezze: i tunisini sono fannulloni, i sardi sanno lavorare meglio di loro, i maremmani sono giusti. Giusti e forti. Perché, questo è sottinteso, mai potrei eguagliare il limite dei 110 cestini di pomodori raggiunto dal figlio di quest' uomo più alto e più grosso di me. Firenze ad agosto è un forno e via Nazionale è la bocca del forno.

Sono le 15 e cammino, senza arte né parte, con un passo che tenta d' essere montanaro e pastorale, un po' Li' l Abner e un po' Bertoldo, con una camicia a quadri che sembra una tovaglia per pic-nic, i capelli schiacciati sulla fronte, l' espressione di uno che non mangia dall' altro ieri e che, tuttavia, potrebbe restare, per un futile puntiglio, anche settimane senza mangiare: i sardi sono notoriamente orgogliosi e piuttosto suscettibili. Non è domando al ristorante fast food Deanna che cercate qualche cameriere?. Il mio accento è veramente esasperato, più che sardo sembra quello di Gigi Sabani quando fa l'imitazione di Cossiga. Ma, costernato, devo prendere atto che è efficacissimo. Siamo al completo, è la risposta. Non è che mi faccio coraggio non mi prendono perché sardo sono? (questa del sardo sono è proprio grossa, ma funziona). Chi mi parla, un uomo sui 45 anni, ha un sorriso amaro, pieno di sincero imbarazzo, ma non appare stupito: Stai tranquillo mi rassicura, passando dal lei al tu noi siamo veramente al completo. Colleziono una miriade di veramente al completo. Se gli avverbi fossero commestibili già non sarei più un sardo senza arte né parte, ma un sardo satollo e appagato.

Sono quattro ore che mi aggiro, ho bevuto una quantità industriale di bicchieri d'acqua del rubinetto. Cerco soccorso nella sede dell' Associazione culturale dei sardi in Toscana. E' al secondo piano d' uno scempio edilizio alla periferia di Firenze. Un palazzo, costruito a metà degli anni Cinquanta, proprio di fronte a un cascinale di campagna. Salgo le scale sicuro che non faticherò a entrare in argomento: ieri l' altro, proprio il giorno prima della liberazione di Belardinelli, il giudice Vigna ha lanciato un appello alla comunità sarda affinché collabori con la giustizia. L' Associazione ha risposto: Non siamo un gruppo di indovini. Apro la porta. Vedo due giovani del Sardistan e, senza preamboli, impreco: Sono disperato. Cerco lavoro come cameriere, manovale, lavapiatti, qualunque altra cosa, ma non mi prendono. Dicono che sono al completo, ma ho paura che non mi vogliano perché sono sardo. Uno in un ristorante me l' ha quasi confermato: effettivamente, mi ha detto, per voi non è il momento migliore. Antonio Mereu, trent' anni, studente lavoratore, presidente dell' Associazione, conferma: non è un momento buono. Ma stai certo: non te lo diranno mai in faccia. E' una cosa che esiste, ma è sottile, quasi impalpabile. Forse è più forte per i meridionali che per noi. Da ciò si evince che noi ci tiriamo fuori dal Mezzogiorno. Ma questo è un altro problema delle scatole cinesi del razzismo nazionale. Pongo fine alla commedia. In cambio ricevo la rassegna stampa.

Il 1982 è l' anno della nascita dell' associazione ed è anche l'anno in cui si fa un gran parlare dei sospetti, nell' indagine sul mostro di Firenze, sul sardo Salvatore Vinci. In un dibattito Luigi Berlinguer, sardo e rettore dell' Università di Siena, parla di bambini sardi che si sono vergognati di andare a scuola. Ma di solito il razzismo è quasi scherzoso dice Antonio Piras, quarant' anni, infermiere, vicepresidente dell' associazione in questi giorni, nel posto dove lavoro, quando passo io si coprono le orecchie. Capita anche ad altri sardi, me l' hanno raccontato. Capisci cosa intendo?. Altro che: deve esserci stata una circolare del ministero dell' Interno. La rassegna stampa è scarna ma istruttiva. Ecco, sempre a proposito del mostro, un articolo apparso nell' 84 sulla Nazione. La Sardegna viene descritta come società arcaica e primitiva poi si ragiona sul fatto che il mostro, vista la sua dimestichezza con le incisioni, potrebbe essere un intagliatore di sughero, mestiere molto in voga in Sardegna ma poco praticato in Toscana (nell' articolo si precisa che solo a Montecatini c' è un toscano intagliatore di sughero). Mereu è sconsolato: In certi titoli dei giornali - protesta - sardo viene usato come sinonimo di bandito. E mi mostra un recentissimo ritaglio della Nazione: dentro un articolo sul sequestro Belardinelli c' è un box intitolato: Turista violentata a Siena che comincia così: Un pastore sardo... Accostamento, come si può intendere, veramente sottile e non privo d' una certa raffinatezza. La sera sono a Siena, in piazza del Campo, con la solita camicia-tovaglia, l' espressione sempre più affranta, e un passo che, a guardarmi, si potrebbe avere l' illusione uditiva dei campanacci delle pecore. Colleziono un altro po' di veramente... Taccio e incasso quando m' accorgo che barista e proprietario si scambiano certi sorrisetti divertiti mentre espongo i miei problemi.

La mattina dopo tra Scansano e Manciano, nella hall di un albergo-ristorante, la ragazza a cui ho spiegato la mia situazione, sparisce nel retro e dice al proprietario, non rendendosi conto che posso udirla, C' è un sardo... Figuriamoci... le rispondono. Pochi secondi dopo la ragazza riappare e mi dice veramente... Quel figuriamoci... orecchiato per caso è la manifestazione di ostilità più esplicita. Razzismo soft o ordinaria intolleranza? Un allevatore modello Al bar di Manciano, non appena apro bocca, il cameriere m' annuncia che presto arriveranno alcuni miei corregionali. Dico che, attraverso amici comuni, avrei dovuto incontrare Costantino Pintore. Vengo creduto. Passano pochi minuti e arriva Gianfranco Santimiani, un uomo sui sessanta anni, maremmano. E' la guardia giurata che ha guidato i Nocs fino alla prigione di Belardinelli. Ancora non riesco a crederci mi dice Costantino era un allevatore modello. Nessuno riesce a crederci in paese, neanche il sindaco. A Tore Marras, di Lula (Nuoro), figlio d' un pastore che s' è stabilito qua ventotto anni fa, chiedo se avrò problemi per trovare lavoro, io che sono sardo: E se non ti vogliono - mi risponde - tu mandali affanculo. Ma mi creeranno problemi o no? Che te ne importa? - insiste - tu mandali lo stesso affanculo. Parla in sardo con me, quando si rivolge agli altri ha un perfetto accento toscano. Che lavoro posso trovare?, gli chiedo. Sai mungere?, mi fa lui. Corro il rischio d' essere messo alla prova. Devo dire la verità: No, non so mungere. E' quasi sera, abbiamo bevuto una decina di bicchieri di vino e spuma a testa (Tore mi spiega che siamo in perfetta media), andiamo fino all' ovile di Costantino Pintore. C' è una gatta, con quattro cuccioli, un enorme cane bianco che non abbaia quando arriviamo. Fuori dalla porta, un caos di fave secche, bottiglie, stracci, utensili da cucina. Dentro l' ovile c' è un uomo sulla trentina. Appende alle pareti bisacce, ripone nella scaffalatura pezzi di formaggio: E' modo di fare quando si entra a casa della gente?, si lamenta indicando gli oggetti buttati all' aria dai Nocs. Raccolgo dal mucchio di spazzatura un nastro di musica folk: E' del coro di Neoneli - gli dico - li conosco, sono bravi. Ho l' impressione che il fratello di Pintore abbia un moto di rabbia e di commozione. Qua c' è molto da fare - sospira guardandomi negli occhi - tu vivi da queste parti?.